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All’interno dello Studio: Alberto Luca Recchi – artdealerstreet.com 27/04/2023

By 29/04/2023 Giugno 1st, 2023 No Comments

 

“Appartengo a una generazione privilegiata; quello prima di me mancava di una buona tecnologia per la fotografia subacquea, ma quello che mi succederà mancherà di buone barriere coralline e abbondante vita oceanica. Ho deciso di sfruttare al massimo il mio tempismo perfetto e lasciare alle mie figlie e ai loro figli qualcosa per ricordare quei giorni di gloria. È così che ho lasciato gli squali a Wall Street per inseguire quelli che abitano gli oceani”.

Alberto Luca Recchi

AL Recchi è un fotografo subacqueo, scrittore ed esploratore con una passione per l’oceano e la sua conservazione. Alla fine degli anni ’90, Recchi guidò alcune delle prime spedizioni alla ricerca di grandi squali bianchi e capodogli nel Mediterraneo. Il suo impegno nel documentare i giganti dell’oceano gli ha permesso di esplorare il mondo e aumentare la consapevolezza delle meravigliose creature che spera di proteggere.

Le fotografie di Recchi sono state esposte in tutto il mondo in conferenze e gallerie d’arte, in articoli per National Geographic e altro ancora. Recchi deve il suo successo internazionale al lavoro che si è sentito motivato a svolgere per la sua passione per i giganti del mare. Le foto e i filmati che ha catturato rivelano uno sguardo ravvicinato sulla vita marina mai vista prima della sua generazione.

Cresciuto durante l’introduzione di erogatori e pinne che consentivano l’esplorazione subacquea, Recchi ha approfittato del fatto di far parte della prima generazione a guardare sotto la superficie delle acque oceaniche. Dopo aver lavorato sul campo per oltre 40 anni, Recchi è stato testimone della tragica trasformazione in atto sotto la superficie dell’oceano, causata dalla spazzatura e dalle crudeli pratiche di caccia. Spera che le sue fotografie e il suo lavoro diffondano la consapevolezza delle meravigliose creature che si sforza di preservare.

The transition from documentation to emotional reaction has been one of the greatest challenges these past few years. The ocean is art, and art is what we imagine it to be. We used to appreciate a painting that looked like a photograph, now we appreciate a photograph that looks like a painting. Recchi moves from “pure naturalism” to “fairy naturalism”.

We recently connected with Recchi to talk about his photographs, early expeditions, and how the overall perception of the sea has changed throughout his life.

Read on to find out more in an exclusive interview with Alberto Luca Recchi.

You have said, “The sea must no longer be seen only as a legacy but as a responsibility because the future is the best gift we can give to our children.” Can you talk about why the ocean is so important to you and to our future?

-Il mare è importante per tutti noi perché ci dà la metà dell’ossigeno che respiriamo e assorbe un terzo dell’anidride carbonica che emettiamo. Dobbiamo ogni secondo respiro al mare. Da chi vive in montagna ai tre miliardi di persone che traggono dal mare le proteine ​​di cui hanno bisogno per sopravvivere, dobbiamo ringraziare il mare per tutto quello che ci dona ogni giorno.

Chi sono alcune delle tue influenze dentro e fuori dall’acqua?

-Nell’acqua ho imparato da Howard Hall. Nella vita mi sono ispirato a Piero Angela, il David Attenborough italiano.

Nel 1999 hai guidato “Mission Shark”, la prima spedizione alla ricerca di squali nel Mediterraneo. Il giorno 37 di quel viaggio, hai scritto la seguente citazione nel tuo diario:

“L’idea che l’incontro con uno squalo abbia sempre una fine tragica è molto comune. La stampa, la televisione, il cinema e persino i romanzi hanno sempre dipinto lo stesso quadro sugli squali, quello di assassini implacabili pronti ad attaccare qualsiasi essere umano si avventuri nelle loro acque Di conseguenza non abbiamo alcuna idea reale di cosa sia uno squalo. Conosciamo solo la sua caricatura presa da Hollywood o dai romanzieri. La realtà è molto diversa. Ci sono molti tipi diversi di squali e solo pochissimi di loro sono pericoloso per l’umanità».

Dopo 23 anni di viaggi per il mondo e condivisione del tuo lavoro, pensi che questa citazione sia ancora vera o credi che questa percezione degli squali sia cambiata?

-Qualcosa è cambiato perché oggi la gente paga per vederli. Ma l’immagine che i pesci grossi possono mangiarci è rimasta. Per due ragioni: prima perché capita raramente e poi per colpa di gente come me. Sì, come me. Noi, i documentaristi. Io lo ero e ho fatto un sacco di forzature per vendere foto e filmati. Andavamo in acque dove c’erano gli squali, li attiravamo con il cibo, poi quando erano a pochi centimetri dalla telecamera, toglievamo il cibo all’ultimo momento per filmarli con la bocca spalancata. In questo modo potevi vedere chiaramente i loro denti. Prova a fare la stessa cosa con il tuo cagnolino e da pochi centimetri, con i denti fuori e le gengive in su, anche lui sembrerà un mostro. Abbiamo imbrogliato, e oggi chiedo scusa agli squali, che sono solo pesci e non mostri. Su 500 specie,

 

Dal trovare un dente di megalodonte alla costruzione di un misuratore di morso per misurare la pressione di un morso di squalo, qual è stato il momento più memorabile di “Mission Sharks”?

-Il momento che non dimenticherò è stato quando, dopo sei mesi di ricerca dello squalo bianco in tutto il Mediterraneo, dopo aver affrontato tempeste e guasti, dopo aver passato 3.500 ore a gettare in mare il pesce azzurro per attirarlo (senza successo), abbiamo sentito in televisione che qualcuno che non lo stava proprio cercando aveva visto e fotografato lo squalo bianco: un ragazzino di 11 anni ha scattato la foto davanti a una delle spiagge più affollate del Mediterraneo. Il padre del bambino aveva catturato un tonno e poi l’aveva attaccato alla barca. Lo squalo l’ha fiutato, si è avvicinato, ha morso il tonno e ha fatto anche qualche giro intorno alla barca per farsi fotografare meglio dal bambino. Questa è stata una presa in giro per me che lo cercavo da sei mesi con un team di biologi provenienti da tutta Italia.

Consiglio vivamente di dare un’occhiata al diario di bordo completo di Recchi dalla “Missione

Squali” spedizione: http://www.obiettivosquali.it/ita/pagine/Libro_di_bordo/libro_di_bordo.htm

Hai detto che ti senti fortunato a essere nato in un periodo in cui sono state inventate maschere, pinne e regolatori, permettendoti di condurre alcune delle prime spedizioni subacquee alla ricerca di squali, balene e altro ancora. Ci sono nuove tecnologie o attrezzature che hai utilizzato di recente per rimanere in prima linea nelle nuove scoperte oceaniche?

-No, le bombole sono ancora grosse e pesanti, e le immersioni a circuito chiuso, di quelle che non fanno bolle, esistono da molti decenni. Non ci sono novità clamorose. Ma il punto importante è questo: quando oggi vado sott’acqua, non mi diverto più. Il mare è cambiato. Prima c’era vita ovunque e io facevo lo slalom tra i pesci, mentre oggi lo faccio tra i rifiuti. Parte della spazzatura viene utilizzata dalle creature del mare, la maggior parte è solo spazzatura abbandonata. Ogni volta che mi immergo mi sembra di visitare un amico malato, e ogni volta che torno le cose peggiorano un po’. Perché dovrei insistere per andare sott’acqua? Oggi devi andare sempre più lontano e più in profondità per vedere sempre meno. Appartengo a una generazione privilegiata e unica: quella dei miei genitori

Quale messaggio speri di trasmettere attraverso le tue fotografie?

-Per fortuna c’è speranza: il mare non è come una miniera che una volta svuotata è vuota per sempre; il mare è come una foresta, basta lasciarlo stare e si riprende, perché le creature del mare fanno milioni di figli. L’esperienza delle riserve marine ce lo dimostra. Il mare, se lasciato riposare, può tornare com’era quando ero ragazzo. Spero, credo e mi impegno per questo. Questo è lo scopo del mio lavoro e del mio lavoro: sensibilizzare chi non va sott’acqua. Non basta guardare il mare dalla riva per capire com’è, né basta andare al mare, perché quando lo vedi da fuori, la sua immensa superficie azzurra e bellissima nasconde quello che sta accadendo sotto. Anche navigando per mezzo secolo non ti dice com’è il mare. Per capirlo e per fare un paragone tra com’è e com’era, bisogna immergersi e essersi immersi prima.

Cosa può fare la persona comune per aiutare i nostri oceani e fare la differenza?

-Tutti possiamo aiutare il pianeta e il mare. Nessuno di noi ha creato il buco nell’ozono, nessuno di noi ha disboscato la foresta amazzonica, nessuno di noi ha tolto le zanne agli elefanti, ma tutti possiamo fare qualcosa: a tavola, perché tutti mangiamo. Mangiare oggi è anche una scelta ecologica. Basta evitare di mangiare animali catturati con reti a strascico che raschiano il fondale, catturando tutto ciò che trovano e distruggendolo. Pescare con quell’attrezzatura è come andare a caccia in una foresta con un bulldozer: puoi catturare una lepre o un cinghiale, ma distruggerai la foresta, catturando animali che vengono uccisi e poi gettati via perché non commestibili (stella marina, gorgonie, madrepore, spugne). Dobbiamo anche smettere di mangiare super predatori. Proprio come non mangiamo leoni, orsi e lupi, smettiamola mangiando squali, marlin e pesci spada che sono gli orsi e i lupi del mare. Questi pesci sono super predatori in cima alla catena alimentare. Gli squali stanno scomparendo perché ne catturiamo più di quanti ne nascano. Questo è un grosso problema per il mare perché gli squali sono i registi degli oceani e, mangiando le prede più deboli e malate, prevengono la diffusione di epidemie e assicurano la salute degli oceani. Credo che, tra qualche anno, non li mangeremo più perché la conoscenza della fragilità del mare si sta diffondendo tra i giovani e la cultura del cibo crescerà per essere più attenta. I miei nonni mangiavano anche i delfini, ma non credo che i miei nipoti mangeranno più i super predatori del mare. Il mare ce la farà.

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