Smettiamola di guardare gli animali del mare con l’occhio del predatore-consumatore, come se solo noi avessimo il diritto di uccidere, e pure quello di non farci male

La prima volta che ho visto il pesce scorpione – o pesce leone – è stato nel 1977. Ma non sott’acqua, in un film. Un film di 007: “La spia che mi amava” e già allora veniva definito come mortale.
Poi ne ho visti tanti nei mari tropicali del mondo.
Oggi per vedere il pesce scorpione basta immergersi nel Mediterraneo. È entrato dal Canale di Suez e si è trovato bene.
Tante specie migrano da un mare all’altro e quando trovano un habitat adatto, si fermano. Come abbiamo sempre fatto anche noi umani.
Ora che è arrivato anche in Italia, i pescatori si lamentano perché mangia i pesci che vorrebbero prendersi loro. Succede. Se qui la specie invasiva ha pochi predatori naturali, di danni ne può fare tanti.
Certo, i pescatori che devono togliere il pesce scorpione dalle reti devono fare attenzione ai suoi aculei. Ma basterebbe smetterla di pescare allo strascico o utilizzare un bel paio di guanti.
Già il pesce non grida quando sta morendo, ora lo vogliamo anche senza spine fastidiose che impediscono di prenderlo in mano e buttarlo nella cassetta di polistirolo con disinvoltura. Anche dover stare attenti ci sembra un disturbo insopportabile.
Smettiamola di guardare gli animali del mare con l’occhio del predatore-consumatore, come se solo noi avessimo il diritto di uccidere, e pure quello di non farci male.